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Prima Casa: a chi spetta dire se è “di lusso”?

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La Cassazione ha emesso la sua sentenza su chi deve dimostrare che l’abitazione è o non è di lusso, ai fini dell’ottenimento del Bonus Prima Casa
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La Cassazione ha emesso la sua sentenza su chi deve dimostrare che l’abitazione è o non è di lusso, ai fini dell’ottenimento del Bonus Prima Casa

L’accesso ai vari Bonus Prima Casa è riservato a chi non possiede un’abitazione di lusso. Ma chi decide se lo è? E a chi spetta eventualmente dimostrare il contrario? Ce lo dice una una sentenza della Cassazione su un caso specifico. Approfondiamo la questione.

La decisione della Cassazione richiama una sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Umbria con la quale veniva respinto l'appello erariale avverso una pronuncia della Ctp di Perugia, che accoglieva il ricorso di un contribuente avverso un avviso di liquidazione per maggiore imposta di registro con contestuale revoca dei benefici fiscali concessi sull'imposta sostitutiva relativa alle operazioni di credito a medio e lungo termine finalizzate all'acquisto di case di abitazione aventi caratteristiche non di lusso.

Avverso la citata decisione di secondo grado, l'Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo - violazione di norme di diritto (art. 21 Tabella A Parte II Allegata al DPR n. 633/72, art. 1, nota 2 bis Tariffa Parte 1 All. A al DPR n. 131/86, artt. 5 e 6 DM 2.8.1969 e punto 21, nonché artt. 2697 e 2729 c.c.) per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente ritenuto che mancasse la prova circa la superficie utile dell'immobile superiore a 200 mq, non avendo l'Ufficio offerto, secondo l’interpretazione adottata dai Giudici di seconde cure – tale prova all'esito del sopralluogo dello stesso.

La decisione della Corte di Cassazione

La Corte di cassazione, in accoglimento della doglianza erariale, con l’ordinanza n. 26880 del 20 settembre 2023, ha cassato la decisione impugnata e, decidendo nel merito, rigettato il ricorso originario del contribuente.

In via preliminare, i giudici di legittimità hanno premesso che in tema di agevolazioni “prima casa”, ai fini dell'individuazione di un'abitazione di lusso, nell'ottica di escludere il beneficio, la superficie utile deve essere determinata avuto riguardo all'utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità, costituendo tale requisito il parametro idoneo a esprimere il carattere “lussuoso” dell'immobile.

In base alla previgente disciplina dell'agevolazione prima casa, che precludeva il beneficio alle “abitazione di lusso” (tra le quali l'articolo 6 del Dm 2 agosto 1969 includeva quelle con “superficie utile superiore a 240 mq”), nel computo della superficie utile si doveva tenere conto dell'utilizzabilità degli ambienti, a prescindere dalla loro effettiva abitabilità sicché la superficie utile non coincideva con “superficie abitabile”, dovendosi considerare “utile” tutta la superficie dell'unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchina.

Al che consegue che il concetto di superficie “utile” non può restrittivamente identificarsi con la sola “superficie abitabile” dovendo interpretarsi l'articolo 6 del Dm n. 1072/1969 nel senso che è “utile” tutta la superficie dell'unità immobiliare diversa dai balconi, dalle terrazze, dalle cantine, dalle soffitte, dalle scale e dal posto macchine e che nel calcolo dei 240 metri quadrati rientrano anche i soppalchi (cfr Cassazione, n. 29643/2019 e n. 861/2014).

Nel caso specifico, tuttavia, il contribuente aveva escluso dal computo alcuni vani, senza dimostrare che si trattasse effettivamente di cantine, ma basandosi sulla originaria planimetria, in contrasto con le regole sulla suddivisione dell'onere della prova, secondo cui “chi vuole fare valere una forma di esenzione o di agevolazione qualsiasi deve provare, quando sul punto vi è contestazione, i presupposti che legittimano la richiesta della esenzione o della agevolazione” (cfr Cassazione, n. 23228/2017 e n. 21406/2012).

Secondo la Cassazione, a fronte delle risultanze emerse dal sopralluogo e dalla planimetria catastale dell'immobile, da cui non emergeva con certezza ed evidenza una superficie utile inferiore a 240 mq, le affermazioni della Commissione tributaria regionale – secondo cui, essendo l'immobile ancora in fase di ultimazione al momento del sopralluogo, “lo stato di fatto dell'immobile non offr(iva) alcun elemento per affermare che le soffitte e cantine (sarebbero state) destinate ad abitazione e non al loro proprio uso catastale”, con conseguente diminuzione della superficie utile da computare ai fini dell'agevolazione in questione – non risultano conformi ai principi sopra illustrati.

La Ctr, secondo l’impostazione dei giudici di legittimità, aveva sostanzialmente onerato l'Agenzia delle entrate di provare il rispetto delle norme relative ai presupposti per la concessione della suddetta agevolazione, senza dare al contrario atto che la parte contribuente non risultava avere effettivamente adempiuto, secondo gli ordinari criteri stabiliti dall'articolo 2697 del codice civile, all'onere di provare la specifica ed effettiva destinazione dei suddetti locali, al fine di giustificare la richiesta riduzione d'imposta.

Non da ultimo appare opportuno, peraltro, evidenziare che ai fini dell'applicazione dell'agevolazione prevista dall'articolo 21 della parte seconda della tabella allegata al Dpr n. 633/1972, che prevede l'applicabilità dell'aliquota Iva ridotta al 4% per le cessioni di abitazioni non di lusso, ancorché non ultimate, “purché permanga l'originaria destinazione” e in presenza delle condizioni di cui alla nota 11-bis all'articolo 1, della tariffa, parte prima allegata al Dpr n. 131/86 sull'imposta di registro, occorre far riferimento alla destinazione effettiva del bene ceduto e non al tipo di accatastamento, poiché questo può restare identico anche al variare della destinazione (cfr Cassazione n. 13981/2001).